[Angelo Peretti]
Ordunque, la situazione è, grosso modo, questa: in Francia ci sono i Vigneron indépendant, in Italia i Vignaioli indipendenti. I primi, i Vignerons indépendants de France, sono ben seimila e sono organizzati in trentadue federazioni dipartimentali, a loro volta riunite in undici federazioni regionali: una forza, anche sotto il profilo economico e politico. I secondi, gli italiani, sono qualche centinaio e per ora sono organizzati in un'unica federazione nazionale (la Fivi, la Federazione italiana dei vignaioli indipendenti), che ha una serie di responsabili locali: stanno crescendo, e spero crescano sempre di più.
I francesi son di più anche perché hanno una lunga storia, essendo nati nel 1978, mentre per gl'italiani ci sono solo tre anni d'esperienza, visto che la fondazione è avvenuta nel luglio del 2008. Entrambe le federazioni nazionali son comunque assieme dentro alla Cevi, la Confédération européenne des vignerons indépendants, ossia la confederazione europea dei vignaioli indipendenti: i francesi hanno la presidenza, gli italiani la vicepresidenza.
Detto questo, dico che c'è una cosa che, a girare le cantine d'Italia e di Francia, balza subito agli occhi. I vigneron francesi alla loro federazione ci credono in toto, e lo dimostrano. Gli italiani sembrano ancora mostrarsi titubanti. Trent'anni di differenza nell'attività delle rispettive federazioni qualcosa vogliono pur dire, ovvio. E non so se tre decenni fa i transalpini fossero più avanti dei vignaioli nostrani. Epperò fa impressione vedere che in Francia il marchio dell'omino con la botticella in spalla, simbolo dei vigneron indépendant, viene utilizzato come emblema d'appartenenza, ma anche come vera e propria leva di marketing. E dunque lo trovi non solo sulle etichette dei vini, ma anche fuori dalle cantine, sui cartelli stradali che indicano la via per le aziende, sulle vetrine dei punti vendita dei singoli produttori, sulle casse di vino e sulle confezioni da tre bottiglie. Insomma: il marchietto della federazione è visto come un considerevole valore aggiunto. E come tale viene usato.
In Italia il marchietto della Fivi, l'omino con la cesta d'uva sulla testa e l'ombra a forma di bottiglia, ha appena cominciato a far capolino sulle capsule delle bottiglie dei soci. A Vinitaly gli associati alla Fivi mostravano anche un cavaliere di cartoncino con il logo. A dicembre (il 3 e il 4 a Piacenza) si terrà poi il primo Mercato dei vini dei vignaioli indipendenti, dove sarà possibile assaggiare e comprare. Ed è il primo passo, spero, verso l'articolazione di quegli splendidi saloni regionali che in Francia i vigneron allestiscono un po' ovunque durante l'anno, permettendo al pubbblico di acquistare direttamente dal produttore (mica le nostre millanta fiere da dove non si può portare a casa una bottiglia che sia una: del resto, qui da noi la burocrazia non aiuta).
Ma soprattutto spero che i vignaioli indipendenti italiani dimostrino di crederci per davvero alla loro federazione. E l'esposizione - orgogliosa, vivaddìo - del logo è il primo, fondamentale passo perché la federazione sia conosciuta e conti per davvero. "Il Consiglio è certo - ha dichiarato il presidente della Fivi, Costantino Charrere, all'Assemblea generale delle federazione, lo scorso 7 luglio - che il Bollino Vignaioli Indipendenti può diventare un vero ed importante veicolo di aggregazione e di mercato". Per quel che contano le mie certezze, ne sono certo anch'io. Magari, aggiungo, una gita dai colleghi francesi potrebbe far bene a molti. Soprattutto agli indecisi.


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5 commenti

  1. Anonymous Says:
  2. Carissimo Angelo,
    provengo da un mondo diverso dal vino, ma di esperienze associative vanto qualche anno di duro lavoro.
    Purtroppo in Italia non sappiamo fare gruppo, siamo troppo pieni di personalismi e troppo malati di protagonismo.
    Spesso le associazioni nascono solo come veicolo di "protesta" nei confronti di enti o gruppi già esistenti e dai quali ci si vuole distinguere.
    Quando un associazione o un movimento non è alimentato da un idea, da un progetto comune di obiettivi, da un credo e una passione, ma nasce solamente dalla rabbia e dalla volontà di demolire qualcosa di esistente, non ha futuro.
    Ben descritto il tuo paragone con i Francesi, almeno loro sanno fare gruppo portando nel mondo un paese, una bandiera, un territorio, il loro vino prima......l'etichetta poi.
    Purtroppo noi Italiani siamo fermi all'idea che le associazioni devono servire per sponsorizzare il "proprio Brand" e quando questo non trova soddisfazione, la colpa è dell'associazione.
    Pronti allora a rinnegare l'appartenenza e a rifugiarsi in una federazione "di comodo" dove sfruttare la convenienza del momento, sempre però attenti e vigili con l'etichetta, non la botte...in spalla per correre via alla prima difficoltà.
    Caro Angelo, mi auguro che i Vignaioli Italiani imparino a crederci veramente, che capiscano che credere non vuol dire trovare un canale facile di vendita, ma vuol dire adottare uno stile e un etica nel rispetto di un territorio e del suo prodotto. La differenza la fà il cuore e la passione che il vignaiolo sà trasmettere al vino.
    Più che una gita proporrei un corso di formazione sulla capacità di fare gruppo, e non solo ai vignaioli!!!
    Grazie Angelo, una tua appassionata lettrice.

     
  3. Condivido totalmente

     
  4. Vero Giapaolo, anch'io avevo notato questa cosa che mi è parsa strana.

    Ho parlato proprio ieri con Mauro Pasquali circa la Fivi, esprimendo la mia perplessità sul fatto che alcuni associati siano o meno dei veri vigneron.

    Forse visto che siamo agli inizi e ci sono pochi associati, va bene far entrare un po' tutti, ripulendo poi in futuro. Forse.

     
  5. anche io non sono associata fivi, volevo sentire loro e farmi spiegare bene cosa intendono nel loro statuto, perchè la stessa cosa che ha lasciato perplesso gianpaolo è la stessa cosa che ha lasciato perplessa me.
    le parole sono importanti per me -noi di famiglia-.
    comunque l'idea la trovo bella ed interessante

     
  6. Ringrazio Gianpaolo, Stefano e Carolina per gli interventi e Matilde per la replica.
    Quanto a me, dico che ho sempre ritenuto che gli statuti (ne ho scritto qualcuno anch'io) servano a dirimere i litigi quando questi accadono, mentre a contare come valore associativo è invece soprattutto la condivisione delle idee, dei valori. Credo che si debba guardare soprattutto a quanto unisce, a quanto accomuna, per raggiungere obiettivi che vadano nella direzione di quanto si usa chiamare il "bene comune". Sapendo che in assoluto questo - il "bene comune" - è un obiettivo irraggiungibile, ma che comunque il tendervi in molti è di per sé un risultato di enorme portata. Perché cambia le menti, i pensieri, i modi di porsi e di agire.
    Ecco, spero che questo la Fivi possa portare al mondo del vino italiano: orientare i vignaioli verso obiettivi comuni, culturalmente condivisi. Sarebbe già un risultato enorme, e spero che sempre più vignaioli vi contribuiscano.

     

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